MARIO DEL TREPPO, Federigo Melis, storico

da Studi in memoria di Federigo Melis, I, Napoli 1978 (Giannini ed.)

3. Gli "anni datiniani" e la realizzazione della Mostra di Prato

La pubblicazione della Storia della Ragioneria non valse acché il suo autore vincesse il concorso per la cattedra di ragioneria generale ed applicata, bandito dall'università di Catania ed espletatosi nel 1951 59. Nel '48 Melis aveva già conseguito la libera docenza in quella disciplina, ma anche questo titolo non aveva prodotto l'effetto da lui sperato, di ottenere cioè un incarico di insegnamento, ufficiale e importante, in quell'ateneo romano dove fin dall'indomani della Laurea egli aveva svolto compiti di docente, in una condizione giuridica che oggi si definirebbe di precario, ma con il più caldo successo presso gli studenti (e tanto allora bastava) 60. Un malinteso con il suo maestro, peraltro subito chiarito, contribuì ad affrettare il suo distacco dall'ambiente universitario e scientifico romano, a chiudere con Roma 61, e a trasferirsi, anche materialmente, in Toscana.

La facoltà di Economia e Commercio di Pisa gli aveva conferito per l'anno 1949-50 l'incarico di storia economica. Quel ricongiungersi alla regione in cui era nato, e che sempre aveva tenuto nel cuore, significava, con la maggiore autonomia scientifica di cui ora poteva godere, l'occasione per affrettare il nuovo programma di studio che già da tempo veniva maturando e la possibilità di realizzarlo nelle condizioni migliori. Non perse tempo. Se tra il 1945 e il '49 aveva già esplorato gli splendidi archivi toscani per rintracciare libri contabili dei secoli XIII e XIV, con l'obiettivo immediato di risolvere il problema sombartiano delle origini del capitalismo moderno in connessione con le origini della partita doppia, ora egli poteva avviare una sistematica rilevazione di tutto il materiale documentario esistente, utile ai fini di una storia economica della regione 62. Era questo il piano di lavoro, chiarissimo nel disegno, e già nel 1953 sufficientemente avanti nella realizzazione, da poterne egli dare comunicazione al prof. Fanfani, con "la coscienza di non avere del tutto demeritato di fronte a chi ebbe fiducia in me;, come appunto gli scriveva. "Nei tre anni decorsi dalla pubblicazione della Storia della Ragioneria, non è apparsa alcuna pubblicazione nuova, perché ho impiegato il tempo a studiare ed a raccogliere documenti, completando con maggiore intensità di quel che avevo fatto fino dal 1938, la raccolta dei dati necessari per comporre "una storia economica di Toscana dal 1000 al 1600", che, se Dio vorrà potrà essere ultimata solo tra dieci anni, ma della quale presenterò, via via degli anticipi, dei paragrafi, in volumi o articoli di riviste, secondo come se ne presenteranno le occasioni. Queste ricerche di archivio sono davvero sistematiche, nel senso che io leggo totalmente tutti i documenti che possono avere importanza (sempre i libri di conti e le lettere mercantesche) per tutti gli aspetti della storia economica, alimentando migliaia di schede; 63.

In una sede del prestigio di quella pisana, Melis avvertì subito tutta la responsabilità del suo nuovo ruolo accademico e come, lungi dall'esaurirsi nell'adempimento dei compiti didattici e scientifici, esso gli imponeva precisi doveri verso la cultura locale, cioè verso il patrimonio storico della regione, con l'obbligo di rispondere positivamente ad ogni iniziativa, sia pubblica che privata, che venisse presa per la conservazione e valorizzazione di esso. Di qui una serie, destinata a infittirsi, di appuntamenti nazionali e internazionali - poiché si sa, la civiltà toscana del Medioevo e del Rinascimento è patrimonio mondiale -, di partecipazioni a convegni, di celebrazioni e commemorazioni, tutte occasionate da quella grande storia.

Cadeva nel 1954 il quinto centenario della nascita di Amerigo Vespucci, e a celebrarlo con particolare rilevanza e solennità cospiravano anche i tempi e la politica internazionale del nostro paese, fervidamente proteso, in quegli anni, verso l'Europa e l'integrazione atlantica. Melis che due anni prima a Saragozza, in occasione del V Congresso di Storia della Corona d'Aragona, aveva presentato una relazione di sorprendente novità su: Il commercio transatlantico di una compagnia fiorentina stabilita a Siviglia a pochi anni dalle imprese di Cortes e Pizzarro 64, con cui aveva polarizzato l'interesse dei convenuti, s'impegnò per una conferenza di argomento affine da tenersi dopo l'inaugurazione della mostra vespucciana. Senonché la defezione, all'ultimo momento, dell'oratore ufficiale, il geografo Giuseppe Caraci, e le conseguenti pressioni degli organizzatori, presi da comprensibile panico, fecero cadere su di lui l'onere del discorso ufficiale di apertura di quelle celebrazioni 65. E così il 13 giugno, nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze davanti al Presidente della repubblica Einaudi, al sindaco La Pira e a un gran pubblico, Melis tenne il discorso, brillantissimo per la novità del taglio e la suggestione delle tesi, solidamente costruito e documentato, con cui si impose all'attenzione degli studiosi e dei competenti come dell'intera cittadinanza 66. Era il suo ingresso ufficiale nel mondo della cultura fiorentina, l'assunzione della sua rappresentanza all'estero e, anche, un'ipoteca posta sulla cattedra di storia economica di quella università. Ma cose come queste non succedono senza suscitare invidia o sospetto 67.

Niente però in quegli anni lo teneva avvinto come il lavoro di ricerca nell'archivio del grande mercante pratese del '300, Francesco di Marco Datini. La novità dell'impresa, l'enormità del materiale documentario a disposizione, la temerarietà del disegno (tutti abbiamo sentito parlare delle 150.000 lettere mercantesche e dei 600 registri contabili di quell'archivio) avevano destato in lui e messo in moto tutte le sue energie fisiche e intellettuali. Non che egli fosse il primo a violare i segreti e le ricchezze gelosamente conservate dalla Pia Casa dei Ceppi; ciò che rendeva assolutamente nuova e inebriante la sua impresa era il proposito di attuarla in maniera sistematica ed esaustiva, come nessuno aveva mai fatto, e forse neanche pensato, o, se l'avesse pensato, aveva dovuto arrendersi all'imponenza del compito.

Dell'archivio e della sua consistenza si erano occupati, dandone anche qualche scampolo documentario, agli inizi del secolo, G. Livi e S. Nicastro. Da quando il 18 ottobre 1896 Isidoro Del Lungo salutò con un discorso sulla piazza del municipio di Prato lo scoprimento della statua eretta in onore del mercante, e più ancora dalla celebrazione del V centenario della sua morte, nel 1910, gli interessi per il grande operatore pratese si erano intensificati, ma gli studi che ne scaturirono non furono più che spigolature, concesse con generosa facilità da una messe straordinariamente ricca. Non fa eccezione, pur nella dimensione del libro, il lavoro di Enrico Bensa 68. Chi comprese che quell'immenso patrimonio documentario andava aggredito e trattato con altro metodo, fu Armando Sapori, negli anni in cui era ancora soltanto un funzionario di archivio a Firenze 69; ma gli esiti del suo lavoro in questo campo, certo deludenti rispetto alle premesse, spiegano forse a sufficienza, senza bisogno di cercare altri motivi, la sua crescente disaffezione per il tipo di mercante incarnato dal Datini e la sempre più infastidita e limitata considerazione per i risultati conseguiti dal Melis.

Le grandi difficoltà di accesso all'archivio e quelle inerenti alla lettura del materiale, avevano spinto il Sapori, appena divenuto professore universitario, a fare qualcosa per assicurare l'utilizzazione di esso da parte di tutti gli studiosi interessati 70.

Egli pensò ad una fondazione, un centro di studi datiniani che, oltre a garantire l'apertura dell'archivio, procedesse alla pubblicazione integrale dei carteggi e dei documenti, nonché dei più significativi libri di commercio. Nel 1937, quando questo programma era già tutto a punto, si frapponevano ancora molti ostacoli alla sua attuazione. L'abilità del rettore dell'università di Firenze Arrigo Serpieri, autorevolissimo oltreché sul piano scientifico anche su quello politico, e soprattutto i maneggi del podestà di Prato, riuscirono nell'intento, e il Centro di studi, istituito con una delibera di quel podestà nel gennaio 1938, venne eretto in ente morale e dotato di un suo statuto con un r. decreto nel luglio 1940. Il comitato tecnico fu costituito dai professori dell'ateneo fiorentino A. Sapori, titolare di storia economica, A. Ceccherelli, titolare di ragioneria, G. Valeri di diritto commerciale, F. Calasso di storia del diritto italiano, e dal presidente della R. Deputazione toscana di Storia patria, il prof. Niccolò Rodolico. A lui certamente si riferisce, senza peraltro farne esplicitamente il nome, il Sapori, quando, riandando con la memoria a quella vicenda, rievoca le delusioni che essa gli procurò: "Se dall'emozione non passai all'accidente fu solo perché con le delusioni mi sono allenato per forza, come Mitridate fece, per volontà, con i veleni. Del Datini si parlava naturalmente [allude ad un articolo de "La Nazione"] e altrettanto naturalmente si incensava il podestà: soltanto che al posto del nome mio figurava quello di un mio collega che si segnalava alla gratitudine della scienza italiana e mondiale, e in particolar modo ai pratesi che gli avrebbero dovuto erigere un monumento a fianco di quello di Francesco di Marco. Come si può vedere i furti si possono commettere in più maniere; e mentre a rubare un tozzo di pane si va in galera, ad appropriarsi dell'idea e dell'opera di uno studioso c'è perfino da essere fatti senatori. A parte che dovevo dire addio al sogno di legare il mio ricordo a un'impresa onorevole, quello che più mi bruciava era la certezza che tutto si sarebbe fermato lì, perché quel valentuomo, diciamo così mio alter ego, non avrebbe mai saputo dirigere una serie di fonti di storia economica medievale; 71. Quest'ultima frase, a prescindere da ogni considerazione su come e quando il sogno del Sapori naufragò, proprio perché scritta molto tempo prima che Federigo Melis mettesse piede nell'archivio Datini, esprime molto bene l'importanza che si annetteva ad una simile impresa e il merito che ne avrebbe legittimamente conseguito il suo realizzatore.

Sulla base del progetto Sapori fu iniziata dunque la trascrizione dei carteggi datiniani, eseguita da personale alquanto raccogliticcio nell'archivio di Firenze dove la documentazione era stata trasferita. Con l'aggravarsi ed il precipitare della situazione bellica, alla fine del 1943, il ministero ordinò il trasferimento di quel materiale in località presumibilmente più sicure dai bombardamenti, e così il lavoro si arrestò per non riprendere più, dal momento che, a guerra ultimata, mancavano i fondi per farlo, e l'impresa aveva anche il torto di portare il marchio del defunto regime. Cosicché l'Ente, se non lo fu di diritto, venne soppresso di fatto. L'iniziativa di Federigo Melis, non agganciandosi in alcun modo alla precedente, si configura pertanto come cosa assolutamente nuova e diversa. Del resto, il suo punto di partenza va individuato in quel programma di studi e ricerche che abbiamo visto orientato alla ricostruzione della vita economica della Toscana dal 1000 al 1600. Più tardi, con l'esperienza delle cose fatte, Melis dirà che i suoi studi datiniani rientravano nel quadro di una "ricostruzione della vita economica dei secoli XIV- XVI (con particolare riferimento alla Toscana), mediante la lettura sistematica dei più cospicui fondi archivistici;, a cominciare naturalmente dalla stessa regione dove carteggi mercantili e libri contabili si conservavano in numero comparativamente maggiore, ma contemplando anche la investigazione di ogni archivio italiano e straniero che fosse ritenuta necessaria: la correzione del taglio è importante, comportando essa un allargamento del quadro geografico e, corrispondentemente, un restringimento dell'arco cronologico 72. Delineate così le sue direttrici di marcia, non mette conto rilevare, seguendo in questo il Melis, il poco o punto lavoro che la fondazione del Sapori aveva fatto, ché in nessun caso egli se ne sarebbe servito: resta in queste critiche il segno di una polemica ch'ebbe momenti di particolare asprezza 73.

Melis volle incominciare dalla integrale ricognizione del fondo archivistico, dalla verifica della sua consistenza, dalla scomposizione e ricomposizione delle sue diverse parti, per mettere in luce l'intreccio dei collegamenti tra i documenti superstiti, il che significava la ricostruzione di altrettante operazioni commerciali, industriali, bancarie 74. Nel suo quotidiano lavoro non era la gioia di questa o quella scoperta ad inebriarlo, ma gli squarci di un universo inesplorato che egli già era in grado, per la straordinaria capacità di intuizione e di sintesi, di intravvedere nella sua interezza; e gli ineffabili momenti di questa "recherche" si riflettono nella pagina, anche se scritta a distanza di tempo, come cristallizzati nella sua caratteristica aggettivazione, nella frequenza di quell'aggettivo, "meraviglioso", con cui Melis sembra voler gratificare i suoi documenti per le rivelazioni che gli hanno fatto.

Dopo che nel 1953, nel corso di un colloquio privato al Quirinale Melis aveva sentito il presidente manifestargli il desiderio di visitare quell'archivio, l'idea di organizzare una mostra grandiosa e degna dell'illustre visitatore s'impossessò interamente di lui, e su di essa convogliò ogni sua volontà ed entusiasmo. Del resto quello poteva essere anche il modo più naturale per dare la misura del lavoro che fin qui era venuto conducendo in preparazione dei suoi studi di storia economica. Anche se in un convegno di studi sulle fonti del Medioevo europeo, tenutosi a Roma in quello stesso anno, aveva presentato concrete e originali proposte per l'edizione dei testi contabili 75, e di lì a poco, trovandosi a illustrare il fondo Datini, aveva addirittura presentato un preventivo circa i tempi e i modi della pubblicazione dei 550 libri contabili 76, è certo che all'edizione del tutto Datini non ci pensò mai: non era cosa fatta per entusiasmarlo. Su questo punto non c'era alcun motivo di scontro con il Sapori 77.

La mostra invece era un'iniziativa, per più aspetti, esplosiva, fatalmente destinata a moltiplicare le inimicizie di chi se ne fosse preso il carico.

Quanto alle difficoltà di realizzazione, va da sé che erano immense. Anzitutto il finanziamento, che comportava, specie in ambito locale, il coinvolgimento di interessi, beghe, meschinità di amministratori e di politici 78. La mostra trascinava con sé molti problemi, a cominciare dall'adattamento dei locali del Palazzo pretorio, l'unica sede, a Prato, atta ad ospitarla, e adeguata ad una cerimonia che doveva svolgersi alla presenza del capo dello stato. La mostra provocava ad ogni passo conflitti di competenze e di giurisdizioni: con la Casa dei Ceppi, il Comune, il Vescovo, la Sovrintendenza per le Belle Arti, quella per gli Archivi ecc. E poi c'era sempre quella fondazione del tempo fascista, che non era stata mai viva né operante, e che appunto per questo cercava nella circostanza l'occasione per risuscitare.

"Circa la Mostra - scriveva Melis al Luzzatto - pare che i pratesi siano decisi a realizzarla da loro; ma le influenze fiorentine sono sempre notevoli, per quel che riguarda la riesumazione della Fondazione. Io sono il primo a rallegrarmene, ma anche ad esigere che essa non debba avvenire per sovrapporsi alla Mostra e con l'intendimento di mettere in difetto me, reo di avere "invaso il campo degli studi altrui" e di avere "scavalcato" la Fondazione stessa, secondo quanto si vorrebbe far apparire; 79. E il vecchio, saggio e bonario: "Mi pare quasi fantastico che per il Datini si arrivi ad un... conflitto tra Prato e Firenze, e sono certo che i Pratesi la vinceranno, purché i loro industriali siano disposti a tirar fuori un po' di quattrini; 80.

Ma era sempre la fondazione l'ostacolo maggiore, ed il suo duce l'ispiratore di ogni trama per far naufragare la mostra. A pochi mesi dalla inaugurazione Sapori pretese di sottoporre l'operato del Melis ad un comitato scientifico dell'università di Firenze e di riservare a sé il discorso ufficiale 81. In un'atmosfera carica di tensioni, e aggravata dalle manovre accademiche che il profilarsi di un concorso per una cattedra di storia economica cui il Melis si sarebbe presentato aveva scatenato, egli continuava a lavorare con spaventosa tenacia professando il suo diritto a farlo e l'onestà dei suoi intendimenti, ch'erano solo scientifici 82. Lavorava all'organizzazione, e soprattutto al catalogo che della mostra doveva essere il pezzo forte, un catalogo che gli cresceva giorno dopo giorno tra le mani, e che naturalmente non fu pronto per il tanto atteso avvenimento, ma che lo impegnò ancora per anni fino a quando uscì, in luogo di esso, uno splendido volume di quasi 800 pagine 83.

In quali tremende condizioni lavorasse, ma anche con quale serenità di spirito, lascio dire a queste lettere scambiate con Gino Luzzatto. "Mi è dispiaciuto sentire - scriveva lo storico veneziano - che Ella sia stato gravemente ammalato e che ora per rimettersi al lavoro debba far uso del busto. Ammiro la Sua passione e la Sua rara tenacia al lavoro; e dell'una e dell'altra ho sentito parlare con altissime lodi da vari professori a Spoleto; 84. E Melis, ragguagliandolo sulla sua malattia (una spondiloartrosi riaccesa sull'artrosi lombo-sacrale contratta in prigionia) lo rassicura che essa "con un particolare busto e forti cure endovenose è sulla via della guarigione, tanto da avermi consentito in quest'ultimo mese di lavorare anche più di dodici ore al giorno (...). Spero poi nel concorso della buona stagione - che non dovrà mancare! - e in un'altra serie di iniezioni da fare nell'estate, per guarire completamente, se Dio vorrà. Comunque la seduzione per questi lavori è tale e tanta, che si finisce col non sentire più neppure i mali e la stanchezza; 85.

Sugli "anni datiniani", che non si fermano al 7 maggio 1955, inaugurazione della mostra, ma proseguono fino al completamento del volume Aspetti della vita economica medievale, l'amorevole compagna della sua vita ha lasciato questa testimonianza, che mi piace riprodurre: "Non potevamo contrarre altri debiti, essendone già oberati, per la vita disperatamente zingaresca che conducevamo da anni, e soprattutto per lo "sfruttamento" della "miniera" Datini, nel cui archivio mio marito si era sepolto dal 1953;. Nei locali umidissimi e malsani nel seminterrato del palazzo vescovile, dove i documenti furono trasferiti a seguito dei lavori di restauro della sede originaria, il palazzo Datini, "si dovette ricorrere a stufe elettriche, che vennero rivolte più a protezione delle "carte" che delle persone; e comunque sempre insufficienti a riscaldare quegli ambienti (...). Mio marito vi trascorreva tutta la giornata, salvo il breve intervallo del pranzo (la cena veniva quasi sempre consumata nell'Archivio, per economia di tempo e denaro), fino a tarda ora, concedendosi, a volte, una mezz'ora di riposo su una sdraia, avvolto in coperte e circondato da due stufe (la spondiloartrosi già avanzava dalle gambe alle cervicali). Anche d'estate l'ambiente era malsano, specialmente perché il notevole fresco provocava una impressione dannosa a chi vi entrava accaldato dall'alta temperatura esterna. E quando nel marzo 1957, non potendo più sostenere le spese di albergo, prendemmo un modesto alloggetto a Firenze (in un quartiere popolare nei pressi dell'autostrada) mio marito ne usciva la mattina presto e vi rientrava la sera a mezzanotte (quando non più tardi). Io lo raggiungevo nel pomeriggio, portando le vivande

preparate in casa, che al momento della cena riscaldavo su una delle stufe, rovesciata. Avvicinandosi le ore 23, cominciava l'ansia di non perdere l'ultima corsa in autobus in partenza dalla Piazza del Duomo, e quella ancora più grave di non dimenticare di spegnere stufe e luci: quante volte ce ne rimaneva il dubbio per tutta la notte e quante volte, morti di sonno e di stanchezza, ci riducevamo ad aspettare il pullman proveniente da Montecatini, a mezzanotte. I conducenti e i fattorini ci si erano affezionati, e tutti erano tanto premurosi da effettuare per noi una fermata abusiva, all'angolo della via dove abitavamo. La corsa mattutina che mio marito era costretto a fare per non perdere l'autobus più adatto e attendere mezz'ora il successivo (e "correre" non gli era facile!) mi stringeva il cuore di pena e di rabbia alla considerazione che un uomo di quel genere e in quelle condizioni di salute non potesse disporre di una piccola automobile, cosa che era ormai alla portata anche delle persone più modeste; 86.

L'apertura della mostra, alla presenza del presidente uscente Luigi Einaudi e del neo-eletto Giovanni Gronchi, fu certamente un successo straordinario, e i molti e autorevoli visitatori che la frequentarono nei mesi della sua apertura attestano il suo altissimo valore scientifico e didattico, acuendo il rammarico che di essa non ci sia rimasta una adeguata documentazione fotografica e un catalogo illustrato 87. Ma per il Melis le amarezze e le delusioni erano tutt'altro che finite, anzi cominciavano ora. Lo sorprese dolorosamente l'assenza e il disinteresse dei colleghi professori di storia economica 88. Alla fine di maggio un ricorso al Ministero dell'Interno, e l'arrivo sul posto di un ispettore, parvero dover portare alla chiusura anticipata della mostra e, incredibile, alla interdizione del Melis da tutti gli archivi italiani, sotto l'accusa di danneggiamento del patrimonio archivistico nazionale 89. Fu fatto circolare un libello con intenti diffamatori, pieno di rilievi sciocchi e insulsi, un libello che per anni raggiungeva puntualmente - in occasione di chiamate e di concorsi universitari - commissari, giudici, recensori 90. Poiché, anche per la mancata pubblicazione del catalogo, il deficit finanziario parve al comitato organizzatore rilevante, si pensò per un momento di addossarglielo 91. L'ultimo affronto gli fu fatto in occasione della istituzione a Prato di una sottosezione dell'Archivio di Stato di Firenze che fu, insieme con il restauro dell'antico palazzo di Francesco Datini (destinato di qui avanti ad essere sede della suddetta sezione e ad accogliere tutta la documentazione datiniana) una delle tante positive e benefiche conseguenze prodotte dalla mostra.

Il 4 giugno 1958, furono inaugurati congiuntamente il restaurato palazzo Datini e la sottosezione di archivio di stato. Melis venne tenuto completamente fuori dalla manifestazione ed il discorso ufficiale fu affidato al prof. Niccolò Rodolico 92: il "siciliano" che (ironia delle cose!) tanti anni prima aveva sottratto al Sapori i meriti e la gloria della fondazione Datini, e che, dopo aver consumato quel furto (come racconta argutamente l'autore di Mondo finito), uscendo, un giorno, alquanto imbarazzato e confuso da una riunione, in cui i due si erano incontrati, gli stava per sottrarre anche il cappotto 93.

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