MARIO DEL TREPPO, Federigo Melis, storico

da Studi in memoria di Federigo Melis, I, Napoli 1978 (Giannini ed.)

1. Formazione culturale

Nell'anno accademico 1939-40, il titolare della cattedra di ragioneria generale e applicata nella facoltà di Economia e Commercio dell'università di Roma, che era allora il prof. Francesco della Penna, volle affidare l'incarico di "letture storiche di ragioneria" per gli studenti del primo anno ad un suo giovane allievo, appena laureato e subito nominato assistente, il dott. Federigo Melis: della cosa dava notizia la "Rivista italiana di Ragioneria" nel numero 30 del 1940, compiacendosi con il designato per la lusinghiera presentazione che di lui aveva fatto introducendolo nell'aula, il prof. della Penna, e, ancor più, per la simpatica ovazione con cui gli studenti lo avevano salutato al termine della "lezione" 1. Non si trattava di un incarico ufficiale d'insegnamento, che la prassi universitaria dell'epoca non avrebbe consentito: tuttavia il risalto, non compiacente né mondano, che l'autorevole rivista aveva inteso dare all'avvenimento, era giustificato dal fatto che mai prima di allora nell'ateneo romano era stato tenuto un corso di storia della ragioneria, e quello cui si accingeva il giovane neo-laureato era, nella sostanza, un corso vero e proprio. Da Leonardo Fibonacci a Fabio Besta (il cui ritiro dall'attività scientifica aveva segnato, come sottolineava il Melis, "la stasi dannosa e deplorevole", della disciplina che solo ora, con l'insegnamento del della Penna "stava riprendendo il necessario sviluppo;) egli intendeva tracciare le linee di uno svolgimento storico: "scegliere, ordinare cronologicamente e descrivere le opere di ragioneria, metterle in relazione coi fatti economici, sociali, storici, tra i quali sorsero, mostrarne le attinenze colle altre manifestazioni della vita, poi scrutarne e interpretarne il contenuto, indi definirne l'intrinseco valore; 2. E in conformità con questo disegno, Melis infittiva le sue letture di storia, di diritto, di geografia antica, di storia dell'arte, condensandole in appunti nitidi e precisi; gli appunti e le lezioni, tutte interamente redatte, andavano ad ingrossare le cartelle approntate per conservare quel materiale di ausili e strumenti didattici, ch'egli preparava con cura e meticolosità pari alla consapevolezza del compito affidatogli 3. Argomento della seconda lezione fu "Il risorgimento dell'Italia e la fine per essa del Medio evo barbarico": Fibonacci e gli incunaboli della ragioneria italiana si rivelavano a quel giovane riboccante di entusiasmo in una con la ascesa civile e sociale del nostro paese dopo il Mille.

Ma quali gli studi da lui fino allora condotti, quali i maestri ascoltati e seguiti? Nato a Firenze, il 31 agosto 1914, da madre romana e da padre sardo, Federigo Melis ebbe nel padre Raimondo il suo primo e riconosciuto maestro, ma da lui anche ereditò alcuni dei tratti più significativi del carattere e delle sue inclinazioni. Il padre era un modesto impiegato del demanio militare dell'Aereonautica, ma uomo colto e di brillante ingegno, autodidatta, appassionato di storia e di arte, smanioso di viaggiare e di conoscere, con qualche cosa nel portamento che certamente gli veniva da lontano, dalla famiglia, originariamente Meli, cui Filippo III di Spagna nel 1610 conferì un titolo di nobiltà, e della quale un meno lontano suo progenitore, dallo stesso nome, don Raimondo Melis, figurava nel 1825 nell'"Elenco ufficiale delle persone nobili dimoranti a Cagliari", conservato nell'archivio della regia Segreteria di Stato e di Guerra presso il viceré di Sardegna. Ce n'era perché anche Federigo, diventato lo straordinario specialista della storia economica di Spagna, potesse amabilmente scherzare su quella sua vocazione, cercandone la legittimazione araldica, e trovando nel diploma del re iberico il precedente delle lauree h. c. e delle onorificenze conseguite in quel paese a lui carissimo.

In parte perché costretto dalle peregrinazioni paterne attraverso gli uffici demaniali del Regno, ma in parte anche perché ammaliato da quel modello di irrequieto e disordinato sapere di autodidatta, il giovane Federigo condusse studi irregolari e dispersivi, frequentando prima il liceo scientifico a Caserta, poi il classico a Milano, e trovandosi già ventenne, a Roma, nella condizione di dover prendersi un diploma di ragioneria - dopo una disperata e acceleratissima preparazione - con cui accedere in qualche modo all'università. Il rimpianto di non aver potuto intraprendere gli studi di ingegneria navale lo prenderà talvolta, ma non tanto da impedirgli di capire che, in fondo, nella scelta ch'era stato costretto a fare, avevano finito per trovare adeguata soddisfazione e la vocazione al calcolo e agli studi matematici, e quella, altrettanto genuina e forte, alla storia e agli studi umanistici: l'una e l'altra già delineate perfettamente fin dagli anni del liceo. Racconta egli stesso: "Quando frequentavo il liceo a Milano, fui chiamato un giorno alla lavagna per una interrogazione sui logaritmi: risposi tanto bene a tutte le domande del professore, da meritare la sua lode e l'ammirato compiacimento dei miei compagni, uno dei quali mi disse: "tu che sei così versato per la matematica e nello stesso tempo appassionato alla storia, non hai mai pensato di indagare sulle origini e, per esempio, non ti sei mai chiesto chi abbia inventato i logaritmi?"; 4.

Alla Facoltà di Economia e Commercio di Roma insegnavano in quegli anni, tra il 1936 e il '39, in cui Melis fu studente, Gennaro Mondaini (storia economica), Vittorio Angeloni (diritto commerciale) Alfredo Niceforo (statistica metodologica) e, ancora, Giacomo Acerbo, Giuseppe Ugo Papi, il Della Penna, il Blessich, il Dominedò; ma di quei maestri Melis ne ricorda soltanto due: Gennaro Mondaini e Francesco della Penna.

Il Mondaini era ordinario di storia economica, e in quegli anni di febbre nazionalistica e di espansione imperiale, tutto preso dallo studio dei problemi storici, economici e giuridici del colonialismo, non solo italiano, dedicava all'argomento puntualmente i suoi corsi 5. Tuttavia proprio nell'anno accademico 1939-40 tenne il corso ufficiale sulla moneta, il credito e la banca attraverso i tempi, dando ampio spazio, nella trattazione del tema, proprio al mondo orientale, all'antichità greco-romana e, soprattutto, al Medioevo. Melis probabilmente ascoltò quelle lezioni; non poté invece leggere allora il volume tratto da esse e pubblicato nel l942 6, poiché già da due anni la guerra lo aveva portato lontano dall'Italia. Senza dubbio il libro del Mondaini costituirà per lui un punto di riferimento, nel pur diverso orientamento dei suoi futuri studi di storia economica.

Di Francesco della Penna, ordinario di ragioneria generale e applicata, sentì profondamente l'insegnamento che, per il tramite di Vittorio Alfieri, si ricollegava direttamente alla magistrale lezione di Fabio Besta, e ne ripeteva il forte senso della prospettiva storica, quello appunto che solo avrebbe consentito più tardi al Melis di operare la fecondissima osmosi tra ragioneria e storia che sta a fondamento di tutta la sua opera.

Il della Penna incoraggiò la naturale vocazione dell'allievo che, intanto, nel corso dei suoi studi universitari, alimentava in tutti i modi il gusto dell'indagine storica, applicandolo a tutte le discipline impartite nella facoltà, e soprattutto intraprendendo seri studi di storia economica 7. Gli assegnò naturalmente, come tesi di laurea, un argomento storico, Francesco Villa nella ragioneria italiana, da cui stranamente Melis non ritenne mai di poter trarre qualche cosa per le stampe. Molti anni più tardi (Melis era già professore universitario, era passato attraverso molte prove e, con le soddisfazioni, aveva raccolto anche molte amarezze) il vecchio maestro esprimerà così tutto il suo compiacimento per averne fiutato le capacità e per averlo conseguentemente orientato nell'indirizzo degli studi: "Io la considero - gli scriveva -, e ciò l'ho detto in una pubblica seduta di laurea e lo ripeto sovente per profondo convincimento, il primo fra gli storici economici, sia perché Lei ha cultura, talento, memoria, innata attitudine alla ricerca d'archivio e alla costruzione scientifica; sia perché Lei è l'unico fra i suoi colleghi, vecchi e giovani, a conoscere e a usare con assoluta sicurezza quell'importante strumento d'indagine che è la scrittura di conto. Bravo Federigo. Io non mi ero sbagliato di aver individuato in Lei lo storico di sangue quando, subito dopo la laurea con 110 e lode, Le assegnai quale suo compito d'assistente alla mia cattedra le "letture storiche di Ragioneria"; Le confesso che oggi come oggi non mi rammarico più tanto - così come mi amareggiai quando si espletò il concorso per Catania - che Lei non fosse stato messo in terna [e qui segue una puntualizzazione di carattere accademico che riporto in nota 8]; ma sono veramente soddisfatto di vederla onorare la mia Facoltà sopra una cattedra di Storia economica piuttosto che di Ragioneria; 9. Ma l'affettuoso e trepido maestro farà qualche cosa di più: nei lunghi anni della guerra, trascorsi dal Melis in prigionia, gli conserverà il posto di assistente volontario prontamente reintegrandolo nelle sue funzioni, e riaffidandogli il corso di storia della ragioneria, al suo ritorno, fin dall'anno accademico 1944-1945 10.

L'isolamento dei reticolati e le lunghe degenze negli ospedali del Kenia; non solo avevano precluso al giovane e promettente studioso, per così lungo tempo, la lettura di un qualsiasi libro scientifico, ma nemmeno gli avevano consentito di sfruttare quella non felice opportunità per fare qualche diretta osservazione sulla contabilità dei primitivi - argomento che già lo sollecitava irresistibilmente - e prendere contatto con i conti a tacche o a nodi delle popolazioni equatoriali.

Restituito alla vita civile, si buttò negli studi con l'ansia e l'accanimento di chi doveva al più presto recuperare il troppo tempo perduto. Riprese gli amatissimi studi classici, allargando il proprio interesse alla civiltà degli assiri; appassionandosi alle scoperte che, intorno alla lingua e alla scrittura minoica, veniva facendo un altro giovane studioso, Giovanni Pugliese Carratelli; praticando assiduamente biblioteche e istituti romani, come la Nazionale, il Pontificio Istituto Biblico, l'Istituto d'Archeologia e Storia dell'Arte, che alla sua curiosità offrivano gran copia di iscrizioni e di papiri, tutti da decifrare e interpretare sotto il profilo dei fatti contabili e, di riflesso, di quelli economici, e quindi, in definitiva, dell'intera storia della civiltà. Aveva preso anche a frequentare, nell'Archivio Segreto Vaticano, le lezioni di paleografia e diplomatica di Giulio Battelli.

Ma, nell'insieme, il suo fu uno studio individuale, senza maestri, da autodidatta quale era sempre stato. Scriverà nella prefazione alla Storia della Ragioneria del 1950: "Ho condotto il lavoro esclusivamente con le mie forze, desiderando, direi, di collaudare le mie possibilità; costituitemi le basi indispensabili per lo studio dei testi antichi e medievali, ho operato da solo tanto sulle riproduzioni, che sugli originali scovati nei musei, archivi, biblioteche italiani, belgi, inglesi e francesi, risalendo alla fonte, per quelli medievali. E, ripeto, senza aiuto alcuno, senza chiedere consiglio a nessuno; eppure a Roma - per citare un caso - vive e opera il più insigne assiriologo dei nostri tempi - il padre Anton Deimel - del quale ho studiato tutte le opere ed al quale mi presenterò soltanto adesso, per offrirgli in omaggio questo volume; 11.

Il frutto di questi studi, di queste esperienze e scoperte alimentava l'insegnamento, ch'egli continuava a svolgere in qualità di assistente del della Penna, e quotidianamente si trasferiva nel rapporto cordiale con gli studenti, che venivano numerosissimi ad ascoltarlo 12.

Con il volumetto pubblicato nel 1948, La Ragioneria nella civiltà minoica, si può dire che F. Melis conclude una prima fase della sua attività scientifica, anche se nell'anno seguente, durante un lungo soggiorno a Bruxelles, Londra e Parigi, le iscrizioni su tabelle fittili, specialmente mesopotamiche, conservate in quei musei, lo attireranno ancora, ed egli vi dedicherà tempo ed energie 13. Ma al di là di qualche contributo filologico - la lettura dei segni di frazione della lineare A (condotta peraltro sulla scia del Pugliese Carratelli e del finlandese Johannes Sundwall) 14 - e di qualche spunto sull'economia minoica, meritevole d'essere ripreso in un più ampio contesto economico e sociale 15, ma che ripreso non fu, quel volumetto oggi appare più che altro come un atto d'amore verso un mondo, una cultura, un tipo di studi - quelli classici - dai quali Melis sentiva di doversi ormai separare; forse quello studio voleva anche essere, dato l'ambiente in cui era maturato e a cui era destinato, una manifestazione di originalità, meno una provocazione che un isolato saggio di bravura.
Intanto, la sete di conoscenza storica suscitava in lui altri miraggi di fonti e di archivi, quei magnifici registri cartacei conservati negli archivi toscani, anzitutto in quello di Firenze, dove già nell'estate del l948 Melis trascorse la sua prima villeggiatura delle molte che, anziché al riposo, avrebbe consacrato al faticoso lavoro di ricerca. Senonché viaggi, soggiorni e microfilms, impostigli dal disegno temerario che già prendeva corpo nella sua mente, lo ponevano di fronte a difficoltà economiche che, a dire il vero, lui, storico dell'economia, non mostrò mai di saper tenere nel dovuto conto. Fu allora che, guardandosi intorno, con la consapevolezza delle molte risorse del suo ingegno e delle molte occasioni che all'ingegno, in Italia, si offrivano in quegli anni di febbrile ricostruzione, sia spirituale che materiale, accarezzò certi pionieristici progetti di carattere didattico e culturale. Fiducioso si mise all'opera, e in pochi mesi, tra il 1948 e il 1949, buttò giù una dozzina di canovacci, schemi di documentari, soggetti d'argomento storico, culturale, artistico, turistico ecc. di cui ecco qualche titolo: "Roma, città dai cento campanili", "Volterra", "Il Casentino", "Chiese romaniche di Puglia", "Lorenzo il Magnifico a mezzo millennio dalla nascita", ed altri ancora.

Via via che la stesura era completata, inviava i testi alla Società Italiana Autori Editori, corrispondendo di volta in volta i diritti richiestigli (250-300 lire) per la proprietà letteraria: quietanze e canovacci andavano ad arricchire una apposita cartella - ed essa soltanto - nell'attesa, vana, che qualche produttore lo chiamasse. "Io personalmente provai a presentare vari soggetti a tal fine - scriveva ad un giornale romano - e l'incomprensione fu immensa da parte di grandi case cinematografiche, e molto il tempo veramente perduto: si doveva produrre dell'altro! Questa incomprensione superò ogni limite quando, nel febbraio scorso, proposi la produzione di un documentario su Lorenzo il Magnifico per iniziarne la proiezione all'apertura delle note celebrazioni fiorentine, componendolo delle riproduzioni dei luoghi ove si svolsero i fatti salienti della sua vita, delle pitture che questi esplicitamente o allegoricamente ricordavano e delle opere che sotto di lui si eressero e così seguitando; ma nulla si fece, certamente perché non ero raccomandato; 16.

Lo sfogo, ma aggiungerei tutta la vicenda dei documentari, è emblematica dell'uomo, del suo carattere, dei suoi atteggiamenti, di certa prorompente vocazione a spiegare, a educare, a coinvolgere gli altri nelle avventure del proprio pensiero, e l'episodio (sconosciuto perfino alla moglie, che da sempre era stata la sua più preziosa e più vicina collaboratrice) mi pare possa trovare un giusto posto nella biografia di Federigo Melis. L'ingenuità di quella sua aspettativa era pari alla serietà con cui si era immerso nel progetto, nel quale non c'è niente, se non all'apparenza, di dilettantesco, di evasivo o di occasionale. Vi traspare invece un aspetto peculiare e inconfondibile del carattere di Melis e della sua cultura: l'amore senza riserve per la pittura e per la natura, onde arte e geografia diventano gli strumenti più propri e naturali della storia, così com'egli la concepiva. Il gusto didascalico e illustrativo con cui, nel corso di un viaggio o di una escursione, richiamata d'un tratto l'attenzione della comitiva, si metteva a commentare la bellezza di un quadro o di un paesaggio, era lo stesso che gli guidava il gesto e la parola quando, davanti ad un uditorio rapito, apriva panoramiche, effettuava carrellate, tagliava amplissimi spazi e poi li rinchiudeva, per collocarvi dentro, ordinatamente, tutte le parti e i concetti del suo discorso. Tutto questo c'è già nei "documentari", anzi è alla radice dell'esigenza che lo spingeva verso quel tipo di attività. Tra l'altro, da un punto di vista strettamente didattico, egli era assai avanti sui tempi.

Ma questo richiamo alla sua attività di docente entusiasta e di splendido conferenziere, che qui cade opportuno - una duplice attività dispiegata con identica passione e con crescente intensità fino alla vigilia della morte - ci consente di fare un'osservazione. Le sue lezioni, come le sue conferenze, lasciano sempre intravvedere, sotto la superficie formalmente letteraria e narrativa del discorso, il canovaccio di un documentario, una genesi per così dire filmica: esse presuppongono il lavoro meticoloso di cernita dei fotogrammi, prima, ed il montaggio poi; il risultato è quello d'una successione d'immagini ricche di prospettiva come nei quadri dei suoi prediletti maestri toscani del Quattrocento.

Tra quei canovacci ce n'è uno che gli stava particolarmente a cuore, dal titolo, non propriamente elegante, "Vetusta contabilità" 17. Melis vi aveva trasfuso molte delle acquisizioni che nel campo della storia della contabilità veniva facendo in quegli anni, e, con esse, la gioia della scoperta scientifica e la commozione di parteciparla al pubblico. Così l'autore preparava il suo materiale e dava le indicazioni per la messa a fuoco dell'obiettivo: "Per poter meglio intendere l'evoluzione contabile si deve spiegare gli iniziali uso e significato delle voci "dare" e "avere" che, si può dire, generano tanta curiosità in coloro che sono estranei al mondo contabile (...) Mentre si chiarisce quanto sopra, appariranno fotografie e disegni di frammenti membranacei o cartacei di registri, dai quali le dette voci vengano messe in particolare evidenza. Ed ecco quest'altra successiva sequenza con la quale egli intendeva comunicare al grosso pubblico quanto comunemente si dice e si fa tra pochi dotti, nel chiuso delle accademie e dei congressi: "Con molta concisione e semplicità di espressioni sarà spiegata l'origine della partita doppia sulla base di nuovi documenti fiorentini che saranno riprodotti; l'illustrazione delle origini della p. d. è dovuta all'autore e non è stata ancora partecipata agli studiosi, eccezion fatta per quelli che hanno preso parte al Congresso internazionale di ragioneria di Parigi al quale essa fu presentata dall'a..

Il documentario doveva concludersi con la illustrazione della contabilità del Perseo di Benvenuto Cellini, come dire una suggestiva ed efficace sintesi di ragioneria e di arte. Ad esso però non arrise migliore fortuna che agli altri, nel senso che nessun produttore si fece avanti, e il canovaccio finì nella solita cartella.

Ma F. Melis troverà egualmente il modo di attuare quel suo disegno e con esso appagare un'antica ambizione, qualche tempo dopo, magari in una forma se si vuole un po' diversa (non troppo però): quella della "mostra".

Mi riferisco alla "Mostra Internazionale dell'Archivio Datini" da lui ideata ed organizzata, e tenuta Prato nel 1955-56, evento - com'è noto - di rilevanza culturale grandissima; ma il riferimento va esteso anche alle altre mostre, alla "mostra" cioè come momento ricorrente nella sua attività scientifica ed organizzativa, punto conclusivo di tutta una serie di studi, che si colloca tra una fase e l'altra del suo lavoro, ed in cui egli faceva confluire i risultati più preziosi delle sue scoperte. Si tratta, dopo il 1956, della "Mostra dei documenti commerciali", allestita in occasione della inaugurazione dell'Istituto di Storia economica "F. Datini", nell'ottobre 1968, matrice anch'essa, come la precedente, di un'importante opera melisiana 18 e, nel 1972, di quella di Storia della banca tenutasi nel Palazzo Salimbeni a Siena 19, ma anche di altre mostre, che non giunsero alla piena realizzazione 20, o che, ideate da altri, ebbero di Melis la adesione e la partecipazione, naturalmente entusiastica e feconda di originali risultati 21.

E allora mi domando: non costituiscono le mostre, le guide, gli inventari, con le loro illustrazioni e commenti, forse il modo più originale, e a lui più congeniale, di espressione scientifica e didattica; non hanno esse la loro radice, direi anche psicologica, nei documentari di quei fervidi anni romani?

La carica dell'entusiasmo non cessava di sorreggerlo, a dispetto di ogni avversità, ogni qualvolta scoccava in lui la scintilla della ideazione. Non era solo per il piacere di ricercare e di creare; Melis sentiva in sommo grado la spinta ad operare, e il desiderio di rendersi utile agli altri lo animava almeno quanto la soddisfazione personale.

Nel novembre 1949, in un denso saggio sul turismo, volle raccogliere ed elaborare "alcune idee e suggerimenti pratici per un incremento all'organizzazione turistica italiana, in vista soprattutto dell'Anno Santo". Una nutrita serie di concretissime proposte, accompagnate da una solida documentazione, veniva avanzata e presentata alle competenti autorità, nell'assoluta convinzione che queste non avrebbero potuto lasciarle cadere, tanto evidente ne era l'utilità sociale, economica, politica: centri di informazione, innovazioni e miglioramenti nelle comunicazioni, nei trasporti, nelle poste, nuovi itinerari turistici, crociere, documentari culturali, emissione di francobolli e lancio di originali serie di cartoline, tutto sembrava a lui non solo possibile, ma necessario. "Nell'anno santo, prova senza appello per il Turismo italiano;, così intitolava questo saggio-programma 22, che i giornali, cui ripetutamente si rivolgeva perché lo pubblicassero, sistematicamente gli rimandavano indietro, adducendo ragioni di spazio, del resto assolutamente incontestabili. E mentre veniva anche preparando un corso di lezioni sul turismo non si dava pace che in una circostanza come quella, nessuno capisse il valore e l'utilità del suo contributo ai fini dello sviluppo e del perfezionamento della nostra più importante e redditizia industria. Ne volle scrivere perfino al Presidente del Consiglio 23.

Ed anche in questo, come non vedere prefigurati taluni inconfondibili tratti dell'uomo che tutti abbiamo conosciuto e ammirato? L'instancabile viaggiatore, il conoscitore di tutti i segreti dell'organizzazione alberghiera, italiana ed internazionale, il collezionista degli orari ferroviari più strani, finnici o jugoslavi, l'innamorato delle belle navi, l'organizzatore, insomma, di quel memorabile congresso di storia marittima che, nell'estate del 1969, svolse i suoi lavori lungo il più affascinante degli itinerari mediterranei, quello su cui nel Medioevo era passata l'epopea dei mercanti 24.

[avanti] vai alle informazioni successive - Archivio Datini: 'Il Carteggio'
© Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini"