MARIO DEL TREPPO, Federigo Melis, storico

da Studi in memoria di Federigo Melis, I, Napoli 1978 (Giannini ed.)

7. Dietro il mestiere dello storico

Senza far torto allo storico e allo scienziato, l'opera più singolare di Melis forse è la creazione dell'istituto "Datini", certamente destinata a duratura e profonda influenza, quali che siano le future vicende di esso e la sua sorte: un'opera che solo il confluire di un ingegno fecondo e versatile dentro straordinarie energie ha resa possibile. Grande organizzatore di cultura definirei Federigo Melis, se il connubio tra i due termini, nell'uso che ne è invalso, non fosse addirittura sgradevole, o se almeno in qualche modo se ne potesse recuperare il significato spirituale.

Attraverso l'istituto "Datini" in maniera certamente più ampia, ma già prima per il tramite della sua sola persona, Melis ha pazientemente intessuto una magnifica trama di rapporti internazionali a beneficio della nostra cultura. Negli anni '60, e oltre, direi ch'egli ha svolto il ruolo che nel decennio precedente fu di Federico Chabod, di Chabod direttore dell'istituto "Croce" e presidente del comitato internazionale di scienze storiche: un ruolo che oggi è rimasto scoperto.

Melis è stato un punto di riferimento e di raccordo tra gli storici italiani e quelli stranieri, e non certo soltanto nell'ambito degli specialisti della sua disciplina. Le settimane di Prato e i corsi di specializzazione hanno contribuito grandemente all'incontro e alla saldatura di esperienze lontane e diverse, al superamento, nel concreto esercizio della ricerca - che è tolleranza -, di contrapposizioni ideologiche. A ragione, niente lo inorgogliva di più che additare ai suoi ospiti la diversissima provenienza, geografica e ideologica, dei convenuti a una riunione di studio o ad un banchetto di cui si fosse fatto promotore. I viaggi, le lauree h.c., le amicizie rientravano in questo modo di far cultura, e assolvevano alla medesima funzione di una comunicazione ad un congresso o di un libro. Con le sue iniziative e le sue relazioni internazionali ha fatto di più degli organismi a ciò istituzionalmente deputati.

Una corrispondenza vastissima, tutta conservata e ben ordinata, sì da far pensare che alla sua conservazione non sia estraneo l'esempio e la lunga frequentazione con Francesco di Marco Datini, testimonia l'ampiezza delle sue relazioni umane e scientifiche. Questa corrispondenza si infittisce a partire dal 1955, ed allora è tutta una folla di studiosi italiani e stranieri che vi si affaccia: Mario Chiaudano, che alle prese con il Libro vermiglio dei Corbizzi vuol essere informato dei nuovi criteri editoriali 210; Piero Pieri, che esulta alla lettura delle vicende americane degli Strozzi, in cui vede un'altra diaspora degli italiani nel mondo, e chiede la consulenza di Melis per la parte economica del suo Rinascimento e la crisi militare il vecchio exministro Bertelé, che per sedici anni, ogni anno, gli rinnova la richiesta del promesso commento al libro di Badoer; e c'è Gino Luzzatto, curiosissimo di tutto, ma soprattutto dei suoi veneziani, e Niccolò Rodolico che, dopo essersi occupato in gioventù e aver scritto del sistema monetario e le classi sociali nel Medioevo, confessa la sua ignoranza in fatto di monete e di prezzi, e chiede come fare per convertirli in valori attuali: e Melis gli risponde condensando nella pagina epistolare una lezione di metodo 211. Così come risponde con estrema precisione e puntualità a tutti, in uno scambio di opinioni e di informazioni che, partendo quasi sempre dal Datini - il mercante e l'archivio - si dilata ad ogni parte del mondo; e allora gli interlocutori sono i colleghi e gli amici stranieri: da Van Houtte a Renouard, da de Roover a Mollat, da Virginia Rau a Rutenburg, a Lapeyre, a Ruiz Martín ecc. ecc.

Nei convegni cui partecipava, così come in ogni riunione tra studiosi, portava qualche cosa che lo rendeva diverso dagli altri: una volontà di chiarezza, un bisogno di spiegare, il senso concreto delle cose, anche e soprattutto di quelle scientifiche. Piero Ugolini, che con Piero Bassetti aveva organizzato nel 1963 un convegno sulla viabilità fluviale padana, chiedendo la collaborazione di rinomati professori e uomini di scienza, ha fissato molto bene questo aspetto di Melis, attraverso la sorpresa ch'egli provò quando a una riunione di lavoro "vide arrivare un signore con documenti, più copie e trascrizioni, dell'archivio Datini di Prato, sulla organizzazione dei trasporti sul Po tra il 1390 e il 1400; e quello si mise a spiegare cosa quei documenti volevano dire, come andavano disposti, quale materiale iconografico ci andava bene accanto e quale no. Poi tirò fuori adesivi e puntine di disegno e si mise ad attaccare il tutto ai pannelli perché non "succedesse confusione" ; 212. Ugolini trasse la convinzione che "quel coltivatore di cultura applicata; avrebbe potuto rendere grandissimi servigi alla gente del suo paese, illuminando, con la conoscenza della storia e dell'economia, il politico e l'uomo della strada, saldando insomma la storia come pensiero alla storia come azione. E così nacque la compagnia eterogenea, ma piena di entusiasmo, che si propose di analizzare i problemi della Firenze di oggi alla luce di quella di Cosimo il Vecchio. Dei risultati dell'iniziativa, che prese corpo nel volume intitolato Un'altra Firenze, Melis fu però tutt'altro che entusiasta.

Gli è che il suo spirito pratico e organizzativo, il senso, per così dire, imprenditoriale della cultura, gli servivano sì a costruire il suo discorso scientifico, ad "allestire" - mi pare la parola esatta - i suoi poderosi volumi, simili alle sue mostre più riuscite; ma qui egli si fermava. Ogni sospetto di subordinazione della cultura, ch'egli intendeva come ricerca rigorosissima e severa, a intendimenti pratici e politici, era da lui respinto. Considerazioni di opportunità, o impulsi dettati dalla generosità (che pur talvolta gli è stata rimproverata) potevano indurlo ad estendere qualche invito in più ad un congresso o ad altra manifestazione da lui promossa. Ma quando si veniva al nocciolo scientifico della questione, era inflessibile con gli altri come con se stesso.

Se, come ci insegnano i manuali di metodologia della storia, la comprensione si fonda anche sulla simpatia dello storico per l'argomento prescelto, e il suo è un conoscere, per usare l'espressione di s. Agostino, per amicitiam, Melis ha vissuto come pochi questa condizione. In Francesco Datini si è immedesimato profondamente, per una sorta di affinità elettiva. Dell'età che ha studiato ha entusiasticamente condiviso lo straordinario impulso creativo di valori economici e civili 213. Ma negli operatori di quell'età ha anche ammirato lo spirito cristiano che li spingeva, come il suo Datini, ad andare pellegrini al giubileo, a distribuire in forma di elemosine e lasciti una parte dei profitti, o, meglio, a inserire già stabilmente, nel sistema aziendale da essi costruito, la socialità e la previdenza 214. L'equilibrio tra ratio umanistica e charitas cristiana era anche l'ideale di Melis, e ad esso concorrevano e la formazione culturale degli anni giovanili e la profonda fede religiosa. Una fede che si era temprata nelle sofferenze della prigionia. In un giorno del giugno 1942, nell'ospedale militare di Nyeri, nel Kenia, si svolse una cerimonia: nel corso di essa Melis vestì l'abito del terz'ordine dei francescani e prese il nome di frate Antonio di Firenze.

Dietro il sapiente mestiere dello storico, dietro la feconda operosità dell'organizzatore c'era l'uomo. Non è questo un topos, una convenzione retorica. Melis ha vissuto la ricerca scientifica, così come l'insegnamento ed ogni altra attività che intraprendesse, con una passione smisurata, fino a provarne, con la gratificazione e la gioia, anche la pena. Così era stato negli anni dell'avventura datiniana, così fu in seguito. Con entusiasmo anche maggiore dei solito si era gettato, nell'estate del 1972, nella preparazione della mostra senese sulla banca: il suo capolavoro in questo campo, per la eccezionalità delle scoperte documentarie, il vigore interpretativo, la perspicuità didattica. Alla chiusura di essa, così scriveva all'amico Favier: "La mostra di Siena è stata smontata, dopo tante amarezze ed una completa rottura con il Monte dei Paschi, i cui capi si sono rivelati peggio che selvaggi (...). E non ti dico quello che ho passato in fatto di umiliazioni, fra cui il particolare che la Mostra è stata aperta solo un'ora al giorno, esclusi il sabato e la domenica, nonostante che noi ci fossimo offerti (io e dieci collaboratori) di andare a turno a Siena per fare da "custodi" per almeno 7 ore al giorno ... ; 215. Non che tutti, e sempre, congiurassero contro di lui, ma gli è che, via via che i suoi ambiziosi progetti coinvolgevano un numero crescente di persone, enti e istituti, diventava sempre più difficile imporre agli altri, spesso ignari o increduli, le esigenze di rigore, completezza, perfezione, che erano alla base del suo comportamento di uomo e di scienziato.

Da quando, con la fondazione del "Datini" fu istituita la Scuola di specializzazione in storia economica, all'insegnamento universitario che svolgeva ormai da trent'anni, fin dall'indomani della laurea, con inesausta passione, Melis aggiunse una attività didattica nuova, e per lui ancora più inebriante: quella di parlare a giovani, ansiosi di perfezionarsi nella disciplina, provenienti da ogni parte del mondo. Già seriamente ammalato, dopo ricadute e ripetute degenze all'ospedale, ritornava ai suoi allievi, capace di fare anche otto ore di lezione al giorno, interrompendole solo per la somministrazione dei farmaci. Allorché i dirigenti dell'Istituto, preoccupati delle sue condizioni di salute, intervennero, dandogli l'impressione di volerlo mettere da parte scrisse: "mi volevano levare il corso di specializzazione pur avendo detto il medico che io ero in condizioni di fare un numero di lezioni doppio rispetto al passato (adesso invece mi hanno ridotto uno straccio); 216, Di lì a pochi mesi, il 20 dicembre 1973, moriva, consumato dalle fatiche, e più dalla passione con cui le aveva sempre affrontate.

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