NOTE

141. Fin dagli anni della preparazione della Storia della Ragioneria Melis lesse e studiò Wirtschaft und Gesellschaft, di cui in quel suo libro (p. 404 note 64 e 65) cita l'edizione tedesca di Tubinga 1922, nei luoghi corrispondenti alle pp. 86 e 384 della recente traduzione italiana Economia e società, Milano 1961, volume I.

142. F. MELIS, Aspetti, cit., p. 394. Non è difficile dimostrare come W. SOMBART, Il capitalismo moderno, trad. it. di G. Luzzatto, Firenze 1925, p. 252 e ss., faccia seguire alla sua geniale intuizione considerazioni erronee e incongruità, quando ad es. afferma le origini pubbliche della nuova contabilità in Italia, o quando attribuisce l'invenzione della partita doppia a L. Pacioli, o delinea una successione di stadi, nel suo sviluppo, quanto mai uniforme che comprende, senza soluzione di continuità, il sorgere della ratio nel sec. XIII-XIV, la corrispondenza di addebitamento e accreditamento nei conti, I'apparizione del conto-profitti, di quello di capitale, l'introduzione del bilancio e, finalmente, quella dell'inventario.

143. W. SOMBART, Il capitalismo moderno, cit., p. 253.

144. Ibid. p. 258: "si può restare in dubbio se il capitalismo si sia creato nella scrittura doppia uno strumento per aumentare l'attività delle proprie forze, o se la scrittura doppia abbia generato dal proprio spirito il capitalismo". La connessione sombartiana tra partita doppia e razionalità dell'agire economico è stata messa forternente in dubbio da B. S. YAMEY, Accounting and the Rise of Capitalism: Further Notes on a Theme by Sombart, in Studi in onore di A. Fanfani, Milano 1962, VI, p. 833; IDEM, Notes on Double-Entry Bookkeeping and Economic Progress, in "The Journal of European Economic History", IV, 1975, pp. 717-723. In opposizione a Yamey si è espresso F. C. LANE, Double Entry Bookkeeping and Resident Merchants, in "The Journal of European Economic History", VI, 1977, pp. 177-191, il quale fa anche il punto sulle diverse più recenti interpretazioni del concetto di partita doppia.

145. Sulla posizione del Sapori nei riguardi di Sombart v. specialmente Studi di storia economica, cit., I, Firenze 1955, prefazione, e Werner Sombart (1863-1941), in Studi, cit., II, pp. 1083-1111.

146. Citato da A. Cavalli nella sua introduzione al volume W. SOMBART, Il capitalismo moderno, trad. it., Torino 1967, p. 21, n. 21.

147. Gli studi ad es. sulla contabilità aziendale toscana del Melis sono una risposta puntuale ad una precisa domanda del SOMBART, Il capitalismo moderno, Firenze 1925, p. 264: "E appunto su questo punto noi vorremmo essere informati: in qual misura e fino a qual punto la gestione delle aziende si sia organizzata nell'epoca di cui ci occupiamo in conformità alle dottrine e alle istruzioni dei teonci della scienza del commercio".

148. Ancora nella 2ª edizione del suo libro W. SOMBART, Il capitalismo moderno, Firenze 1925, p. 210 dice: "Non vi può essere alcun dubbio sul fatto che il capitalismo è l'opera di singoli uomini di eccezione (...). Al principio vi fu "l'attività creatrice" del singolo, di un uomo audace, intraprendente, il quale decide animosamente di uscire dal solco dell'attività economica tradizionale e di battere vie nuove. La storia delle origini del capitalismo è una storia di personalità".

149. Così MELIS (criticando l'interpretazione che del Datini aveva dato Sapori) in un intervento sulla "Nuova Rivista Storica", L (1966), p. 696: "E' vero che il Sapori parla di "razionalità", di "profondità di cognizioni tecniche" e di una mente logica, chiara, ordinata, idonea del tutto "agli affari"; ma ciò non basta ed è ben lungi dall'esaurire il problema dell'uomo di affari ".

150. F. MELIS, La civiltà economica nelle sue esplicazioni dalla Versilia alla Maremma (secoli X-XVII), estr. dagli Atti del 600 Congresso internazionale della Dante Alighieri (Livorno 13-17 settembre 1970), p. 22.

151. W. SOMBART, Il capitalismo moderno, cit., p. 245.

152. F. MELIS, Aspetti, cit., p. 125: "per storia interna di un'azienda è da intendere la storia dell'organismo, nel quale essa consiste, in sé e per sé: vale a dire, le vicende occorse negli elementi costituti - le persone e i beni - e nelle altre energie personali a sé attratte (il personale stabilmente assunto od occasionalmente); la ubicazione della sua sede e delle sue ramificazioni, originarie e derivate; la durata e l'immaginario spezzettamento di essa in esercizi con i risultati conclusivi, misurati dal profitto o dalla perdita. In sostanza, guardiamo alle persone e ai beni, collegatisi in una data località e con riferimento ad un dato campo d'azione, senza badare alla gestione (...); rimaniamo, adunque, fra le "mura" dell'azienda: o, meglio, negli "uffici direttivi", senza affacciarci nelle "officine", ove ferve la gestione".

153. Lo riconosce Melis stesso che, al riguardo della nuova tematica, nel momento di avviarsi a questi studi, aveva chiesto l'opinione di G. Luzzatto, che così gli rispondeva: "Quanto a quello che Ella mi chiede sull'impiego del termine "storia interna" posso dirLe soltanto che io non lo avevo visto mai prima che in Sapori. E siccome credo di aver letto tutto o quasi tutto quello che è stato scritto sulle compagnie commerciali italiane del Duecento e Trecento, mi pare che Ella possa affermarlo a cuore relativamente tranquillo" (lettera di Luzzatto a Melis, Venezia 17-1-1957).

154. Dell'argomento il Sapori si era occupato nel suo volume del 1926, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi ma nel 1932, nel libro Una compagnia di Calimala, pp. 23-53, aveva qualificato come "storia esterna della compagnia" una serie di argomenti - i soci, i patti della società, il personale, il fondaco, le caratteristiche dell'azienda -, separandoli da altri (forse ritenuti la storia interna di essa) quali l'attività mercantile svolta, l'amministrazione e la contabilità. Nel saggio del 1934, Storia interna detta compagnia dei Peruzzi, poi in Studi di storia economica. Secoli XIII- XIV-XV, II, Firenze 1955, pp. 653-94, il termine viene inteso correttamente.

155. F. MELIS, Le società commerciali a Firenze dalla seconda metà del XIV al XVI secolo, in Troisième Conférence Internationale d'Histoire économique, (Munich, 1965), Paris 1974, pp. 47-62.

156. Con de Roover e Sapori a proposito della holding company, che essi vedono prefigurata nel sistenna aziendale dei Medici, ma non in quello datiniano; con Sapori che, a proposito della società in accomandita, pone erroneamente il suo atto di nascita nel 1408: SAPORI, Dalla "compagnia" alla "holding", in Studi di storia economica, III, Firenze 1967, pp. 121-133; DE ROOVER, ll banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), trad. ital. Firenze 1970, pp. 2 e 89.

157. A. SAPORI, La cultura del mercante medievale italiano, in Studi, cit., I pp. 53-93.

158. R. DE ROOVER, Aux origines d'une technique intellectuelle, cit., che, nonostante il titolo e la sede in cui comparve - le "Annales" -, non è affatto un saggio di storia della mentalità.

159. Orazione pronunciata in occasione delle esequie di F. Melis, nelI'Aula Magna dell'Università di Firenze il 29 dicembre 1973, in A Federigo Melis, Università degli studi di Firenze, ivi 1976, p. 16.

160. E' la tesi di Melis sostenuta nel discorso commemorativo di A. Vespucci del 1954 (v. sopra n. 66) e in quello, altrettanto importante, tenuto alla Camera di Commercio di Pistoia il 21 dicembre 1966 su "Giovanni da Verrazzano e i problemi della navigazione toscana" rimasto inedito anch'esso, nonostante che l'autore sia tornato sull'argomento anche in altre sedi (ma v. MELIS, Uno spiraglio di luce sul finanziamento del primo viaggio di Giovanni Da Verrazzano, in Giovanni da Verrazzano, Giornate commemorative: Firenze-Greve in Chianti, 21-22 ottobre 1961, Firenze 1970, pp. 45-54), nonché nella relazione saragozzana Il commercio transatlantico di una compagnia fiorentina stabilita a Siviglia, cit., e in quella su La partecipación toscana en la navigación atlantica presentata al IX Coloquio Internacional de Historia Maritima (Sevilla, 24-30 de septiembre 1970) e ora, in italiano, nel volume F. MELIS, Mercaderes italianos en España (siglos XIV-XV), con introduzione di F. RUIZ MARTIN, Sevilla 1976, pp. 167-175.

161. Sulla cultura del mercante medioevale riporta queste spazientite, ma interessanti osservazioni di C. Trasselli, espresse confidenzialmente a Melis, e la risposta di quest'ultimo. "Altro che cultura del mercante: ci sarebbe da fare un bello studio sugli aspetti negativi della grafomania mercantesca: non avevano un accidente da fare e scrivevano, ripetendosi dieci volte da una lettera all'altra. Guarda anche le formule se non sembrano ricavate dalle lettere del soldatino: questa mia per dirvi, spero che stiate bene, per questa non altro. Ho letto il carteggio di Tuccio Fieravanti con... la Anastasi [si tratta di Giovanna Motta Anastasi studiosa dell'argomento]: non mi sono mai imbattuto in un tale coacervo di banalità, scritte malissimo per giunta: un uomo come lui che ha la fortuna di assistere a due rivoluzioni e di vedere due vicerè fuggiaschi, di assistere a Messina alla carcerazione dei più eminenti patrizi che erano anche grossi mercanti, e che non si accorge di nulla. E poi quel ripetere dieci volte le stesse cose con formule vaghe in cui non capisci nemmeno se vuol commissionare oppure no una certa merce, se la ritiene gradita alla piazza. Insomma a proposito di fiducia io ne ritirerei un buon 90 % di quella che si è fatta al mercante: le cose gli andavano bene quando gli andavano bene; del resto era un pulcino nella stoppa. Forse i "grandi" avevano grandi intuizioni ed erano anche capaci di una loro politica commerciale; ma fino a qual punto tale loro politica era basata sulla corruzione, che eufemisticamente chiamiamo privilegi o favore? Io penso che molto del loro successo fosse basato sul cogliere l'occasione piuttosto che sul cercarla: nei mo menti di espansione le occasioni erano buone e guadagnavano; nei momenti di recessione le occasioni erano cattive e perdevano; ma del loro ci mettevano poco. Certo queste sono cose che restano fra noi a quattrocchi". (Lettera di C. Trasselli a Melis, Palermo, 18-VIII-1972). E Melis gli risponde (copia della lettera a Trasselli, 23-VIII-1972): "Quanto ai tuoi appunti circa la cultura dei mercanti dell'epoca, quanto tu dici del Fioravanti conferma appieno la mia... regoletta: egli era un piccolo mercante (anche se ha lasciato libri grossi), che non poteva spaziare come invece vediamo fare in quasi tutte le lettere che io ho pubblicato: quanto più grandi erano le aziende e i loro uomini tanto più nutrite erano le loro lettere (...). Non credo che i loro successi fossero basati soltanto sul cogliere l'occasione: perché le occasioni bisogna avvertirle e bisogna dotarsi di tutto l'insieme di strumenti che, appunto, consentono di coglierle e di saperne la portata e le possibilità; vi è poi la pronta azione di raccogliersi nel loro sfruttamento (...)".

162. Si veda lo splendido saggio di MELIS Intensità e regolarità nella diffusione dell'informazione economica generale nel Mediterraneo e in Occidente alla fine del Medioevo, in Mélanges en l'honneur de Fernand Braudel, 1, Histoire économique du monde méditerranéen: 1450-1650, Toulouse 1973, pp. 389-424.

163. MELIS, Werner Sombart e i problemi della navigazione nel Medio Evo, in L'opera di Werner Sombart nel centenario della nascita, Milano 1964, pp. 86-149.

164. Vedi specialmente: F. MELIS, Sulla non astrattezza dei titoli di credito del basso Medioevo, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, Milano 1974, IV, pp. 3686-3701.

165. Il tema della banca medioevale, già origina]mente impostato nel volume di MELIS, Note di storia della banca pisana del Trecento, Pisa 1955 (Pubblicazioni della Società Storica Pisana 1), pp. 2O5, è ripreso e approfondito nei piu recenti lavori: Orígines de la Banca moderna, in "Moneda y Crédito", 116, 1971, pp. 3-18; Motivi di storia bancaria senese: dai banchieri privati alla banca pubblica in "Note economiche", V, 1972, pp. 47-64; Guida alla Mostra internazionale di Storia della Banca, secoli XIII-XVI, nella occasione del V centenario del Monte dei Paschi di Siena, Siena [s.d ma 1973], pp. 231. Ancora inedita è l'importante relazione presentata alla IV Settimana di Studio (Prato, 14-21 aprile 1972) su La grande conquista trecentesca del "credito di esercizio" e la tipologia dei suoi strumenti fino al XVI secolo.

166. Sull'agricoltura, anche se limitatamente agli aspetti di cui Melis si è occupato, si veda: Produzione e commercio dei vini italiani (con particolare riguardo alla Toscana) nei secoli XIII-XVIII, in "Annales Cisalpines d'Histoire Sociale", I, 1972, pp. 107-133; Note sulle vicende storiche dell'olio d'oliva (secoli XIV-XVI), in Dell'olivo e della sua cultura, a c. della Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze 1972, pp. 11-21, La bonifica della Versilia del 1559, estr. dalla "Rivista di Storia dell'Agricoltura", X, 1970, pp. 14.

167. Sul lavoro a cottimo e quello a compito, Melis fa alcune interessanti osservazioni suggeritegli dalla traduzione italiana del libro di R. DE ROOVER, Il banco dei Medici, cit., dove (traducendosi alle pp. 241-277 l'espressione "paid by the piece" in "a cottimo", anziché "a compito") il ruolo del salariato nell'industria tessile fiorentina veniva ancor più fortemente accentuato che nel testo originale inglese. "Il cottimo presuppone un rapporto fisso del dipendente con l'azienda, ma nel quale la remunerazione è effettuata secondo il lavoro eseguito; mentre la remunerazione a compito non presuppone un rapporto fisso di lavoro - e non si deve quindi parlare di salariati -, e prende sempre per base della remunerazione il lavoro eseguito" (copia della lettera di Melis a de Roover, del 6-IV-1971) "Seppure è simile come metro di misurazione della remunerazione (cioè in base al lavoro espletato; è totalmente differente quanto alla dipendenza dell'operaio: per il cottimo questi è un dipendente fisso; per il compito questi è invece un lavoratore che va da azienda ad azienda, secondo la disponibilità di lavoro. Ebbene nelle nostre aziende di Arte della Lana non c'è stato mai il salariato fisso, né a cottimo, né a tempo (si sono avuti dei salariati in senso proprio - cioè a tempo - soltanto per coloro che andavano a collegare i centri operativi esterni, consegnando il semilavorato e riprendendolo dopo che aveva superato la relativa fase del ciclo laniero" (copia della lettera a Girolamo Arnaldi, 13-III-1971).

168. MELIS, Gli opifici lanieri toscani dei secoli XIII-XVI, in Produzione, commercio e consumo dei panni di lana, Atti della Seconda Settimana di Studio: 10-16 aprile 1970), Firenze 1976, pp. 237-243. Precedentemente se ne era occupato, oltre che nel volume Aspetti, cit., pp. 455-494, nell'articolo Sulla disseminazione dell'opificio laniero pratese del Trecento, in "Prato. Storia e Arte", I, 1960, pp. 19-24.

169. In "Nuova Rivista Storica", 1966, cit., p. 675 ss. e 707 ss.

170. MELIS, Gli opifici lanieri toscani, cit., p. 238: "avevo pensato che l'azienda avesse mano a mano sottomesso tutti i dipendenti dei vari rami lanieri e, invece, estendendo l'indagine all'intero Cinquecento, quando ormai la Toscana da almeno mezzo secolo è in piena decadenza, ho potuto constatare che non vi è stato nessun mutamento, neppure per gli opifici maggiori"; p. 239: "ho pensato che con il passare del tempo l'azienda sarebbe arrivata a dotarsi, se non di un impianto di gualcatura, di follatura, almeno di un certo numero di telai per la tessitura: questo invece, non si verifica mai, ad eccezione di qualche telaio, sul quale viene chiamato a lavorare il tessitore di fuori. Non ho ancora incontrato, su decine e decine di casi, un tessitore salariato, un dipendente fisso dell'azienda, ancorché essa si sia dotata di telai suoi;" p. 240: "io pensavo di trovare dei salariati, se non totalmente almeno in buon numero, presso queste aziende esterne (...) con mia somma sorpresa, anche in questa azienda [la compagnia di Arte della Tinta del Datini] vi è stato un solo salariato, il quale era, poi, il vice-direttore tecnico".

171. F. MELIS, Momenti dell'economia del Casentino, in Mostra di armi antiche, cit., p. 20: "Questa della disseminazione dell'opificio medievale è una delle manifestazioni più singolari della funzione cui hanno assolto le città (...). A differenza di quello che accade oggi, dunque, la città non determinava lo spopolamento della campagna: elargendo quella ricchezza ed elevando il tenore vita, come ho detto, ne promuoveva la moltiplicazione degli abitanti e quindi una loro dedizione maggiore alle opere agricole".

172. Per un aggiornamento sul dibattito all'interno della storiografia marxista, si veda la nuova recente edizione di The Transition from Feudalism to Capitalism, London 1976, raccolta di saggi di SWEEZY, DOBB, TAKAHASHI, HILTON, LEFEBVRE, PROCACCI, HOBSBAWM, MERRINGTON, con introduzione di RODNEY HILTON; da altra angolatura questi problemi sono analizzati da J. HEERS, The "Feudal" Economy and Capitalism: Words, Ideas and Reality, in "The Journal of European Economic History", III, 1974, pp. 609-653.

173. Molta attenzione converrà dare, sul piano sociale, alla formazione di un ceto impiegatizio, dovuta proprio allo sviluppo delle grandi imprese mercantili, alle sue possibilità di carriera, tenore di vita, cultura, di cui Melis per primo traccia le linee: v. Aspetti, pp. 151-61, 179-85, 205-10, 229-31, 265-69, 295-321.

174. In una lettera a Melis, Parigi 6-VIII-1967, Braudel, richiamandosi alle sue polemiche con Sapori, così esprimeva il suo giudizio: "Il est bien évident que la prosperité, l'élan de Florence ne s'interrompent pas avec le milieu du XIVe siècle, que l'histoire événementielle de Bardi ne compte pas plus que l'histoire événementielle des Fugger et des Welser à Augsbourg. Il serait bon d'ailleurs de calculer si possible un ordre de grandeur du revenue global de Florence, de voir s'il n'y a pas, comment le soutient Earl J. Hamilton, tous les elements d'une histoire des prix".

175. Sulla circolazione degli uomini aumentata come mai nel passato: MELIS, Movimento di popoli e motivi economici del giubileo del '400, in Miscellanea Gilles Gérard Meersseman, Padova 1970, I, pp. 343-67.

176. MELIS, La frequenza alle terme nel basso Medioevo, estr. dagli Atti del 10 Congresso italiano di Studi storici termali, (Salsomaggiore, 56 ottobre 1963), p. 6; ID, La storia delle terme nel mondo: aspetti economici e sociali estr. dagli Atti del 10 Congresso di Storia della Medicina, Montecatini 1962 pp. 19.

177. Mi riferisco soprattutto a F. MELIS, Industria, Commercio, Credito nel volume Un'altra Firenze: l'epoca di Cosimo il Vecchio, saggi di C. Greppi, M. Masso. G. De Rossi, F. Melis, G. Ugolini, P. Ugolini, M. Adriani, Firenze 1971, pp. 141-280.

178. Un'altra Firenze, cit., p. 261; e continua "mi piace ripetere che l'atmosfera di quel periodo - il Rinascimento - ha coniato uomini particolari anche nella vita economica, facendo assurgere le vicende economiche alla dignità di studio".

179. Citato da CHABOD, Il Rinascimento, in Questioni di storia moderna, Milano 1948, p. 55.

180. Con questo titolo è ristampato a parte (Firenze, Sansoni, l953, pp. 7), l'intervento pubblicato in Il Rinascimento, significato e limiti (Atti del III Convegno Internazionale di studi sul Rinascimento: Firenze, 25-28 settembre 1952), Firenze 1953. Si noti che in Aspetti, cit. , p. 394, Melis, riprendendo quella formula sostituiva al termine del binomio "capitalismo" quello di "impresa capitalistica".

181. In Studies in Economics and Economic History. Essays in honour of professor H. M. Robertson, London 1972, pp. 153-186: "The reader will decide whether those subjects (the firm, but always, above all, the men who constituted it) and the environment itself merit the definition capitalist: my objective was limited to the mere description of an economic "world" which was totally and surely new, at least to the extent that it saw the rise of "new" societies ...".

182. Un'altra Firenze, cit., p. 155.

183. F. MELIS, I rapporti economici fra la Spagna e l'Italia nei secoli XIV-XVI secondo la documentazione italiana, nel volume Mercaderes italianos en Espaqa (siglos XIV-XVI), con introduzione di F. Ruiz Martin, Sevilla 1976, p. 187.

184. Un'altra Firenze, cit., p. 264.

185. Neanche in occasione di una pubblicazione collettanea sulla Vita privata a Firenze nei secoli XIV e XV, Firenze 1966, MELIS, cui venne affidato il capitolo Il mercante, (pp. 91-109), ritenne di dover uscire dal campo strettamente economico.

186. Un'altra Firenze, cit. , p. 149.

187. F.MELIS, Consideration of Some Aspects of the Rise of Capitalist Enterprise, in Studies... H. M. Robertson, cit., p. 179. Il testo dice, per evidente errore di stampa, "at end of the 13th century".

188. La "decadenza" di Firenze e della Toscana viene spostata alla metà del sec. XVI e sembra, come si è visto, ch'egli la ritenga di natura morale. Ma altrove (La civiltà economica nelle sue esplicazioni dalla Versilia alla Maremma, cit., p. 51). Melis dà una spiegazione economica assai interessante, perché intrinseca allo stesso sviluppo dei secoli XIV-XV: la rivoluzionaria discriminazione dei noli infatti, estesa e applicata alle tariffe dei trasporti terrestri, avrebbe determinato una ripresa e intensificazione della viabilità interna (dopo la sua decadenza conseguente all'apertura della via marittima di Gibilterra, alla fine del XIII sec.) con la riaccensione delle fiere internazionali - prima Ginevra poi Lione; nonostaste i fiorentini riuscissero a dominarle, ne sarebbe seguito un indebolimento della "potenza marittima" di Firenze, che aveva costruito, appunto, la sua fortuna sul controllo e dorninio dell'intera viabilità marittima.

189. In questo appunto manoscritto di Melis mi par di vedere la conferma di questa impostazione: "Il capitalismo: la personalità. - L'uomo del Medioevo si libera e vuole emergere, creando qualche cosa di nuovo; - un uomo che si afferma e che emerge, può farlo, anzitutto conoscendo gli altri uomini; - e perché essere "schiavi" del banco di scritta? egli, una volta che è riuscito a farsi conoscere e ad imporsi, sarà lui a dare ordini a quei "banchieri" od operatori, che svolgono la stessa attività, imponendosi con ordini suoi: così, si ha il trionfo dell'ordine scritto".

190. F. MELIS, Gli aspetti economici e mercantili dei prodotti dell'agricoltura e dei vini toscani in rapporto al loro commercio nel mondo (sec. XIV-XVI), in Atti del Secondo Convegno dell'Accademia Italiana della Cucina, (Siena-Firenze: 9-11 maggio 1969), Milano 1971, p. 23.


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